accentoL’accento è il rafforzamento o elevazione del tono di voce con cui si dà a una sillaba maggior rilievo rispetto ad altre della stessa parola (accento di parola), della stessa frase (accento di frase o sintattico) o dello stesso verso (accento ritmico). Riguardo alla posizione nella parola, si distingue in vari tipi: accento fisso, ci sono lingue in cui la posizione dell’accento è collocata a priori su una certa sillaba in tutte le parole; accento assolutamente libero, dove la posizione dell’accento non è determinabile a priori in base a un principio generale del sistema, ma è stabilita dalla tradizione linguistica in modo diverso da parola a parola; accento relativamente libero, quello che, pur non essendo determinabile a priori, può manifestarsi soltanto in un ambito sillabico determinabile a priori; accento condizionato, quando la posizione è legata alle caratteristiche fonologiche del vocabolo. Nelle lingue in cui l’accento è fisso, la sua funzione distintiva è molto ridotta o nulla. Rispetto all’intensità, l’accento può essere forte o debole. Parole plurisillabe o composte possono avere accanto all’accento principale uno o più accenti secondari. L’accento tonico (o d’intensità) ha in italiano una funzione distintiva essenziale. Esso può cadere sull’ultima sillaba (parole tronche: arrivò, caffè), sulla penultima (parole piane: lìbro, versaménto), sulla terzultima (parole sdrucciole: sìmile, barìtono), più raramente, in forme della coniugazione verbale, su sillabe antecedenti (fàbbricano, lìberatene). http://www.treccani.it/enciclopedia/accento/ |
acquisizioneProcesso di apprendimento che porta un neonato/bambino a comprendere e riprodurre intenzionalmente la lingua di appartenenza alla quale è esposto e ad interagire parlando con gli altri individui. |
affissoElemento che si aggiunge a una parola per formarne un'altra, si distingue in prefissi, infissi e suffissi. |
aggettivoElemento grammaticale che si premette al sostantivo o a parti del discorso sostantivate, per identificarle come individuate (articolo determinativo o definito) o come non individuate (articolo indeterminativo o indefinito). Articolo partitivo è invece detta la preposizione articolata formata da di + il, lo, la, ecc. (cioè del, dello, della, ecc.), usata in funzione partitiva. ( → sostantivo, → preposizione ) http://www.treccani.it/vocabolario/articolo |
allofoniaUn allofono o variante combinatoria di un fonema è una realizzazione fonetica che in una determinata lingua non ha carattere distintivo, ma si trova a essere in distribuzione complementare con gli altri allofoni dello stesso fonema. Ex: In italiano il fonema /n/, possiede quattro allofoni. Le parole naso, Gianpaolo, conca e anfibio, in ognuna di esse /n/ è realizzato utilizzando foni diversi. Il primo è [n] (nasale dentale), mentre gli altri sono realizzati rispettivamente [m] (nasale bilabiale, esistente anche come fonema e scritto "m"), [ŋ] (nasale velare), [ɱ] (nasale labiodentale). Di questi foni, solo uno, [m], è anche, in altri contesti, fonema: gli altri risultano esclusivamente dal cambiamento del punto di articolazione del fonema, influenzato dai fonemi adiacenti. |
allomorfiaDiverse realizzazioni
fonetiche della stessa realtà astratta, poste in distribuzione complementare
(al comparire dell'uno non può comparire l'altro). |
antonimiaRapporto di opposizione semantica tra due parole o espressioni, comunemente detto “contrario”. |
articoloElemento grammaticale che si premette al sostantivo o a parti del discorso sostantivate, per identificarle come individuate (articolo determinativo o definito) o come non individuate (articolo indeterminativo o indefinito). Articolo partitivo è invece detta la preposizione articolata formata da di + il, lo, la, ecc. (cioè del, dello, della, ecc.), usata in funzione partitiva. ( → sostantivo, → preposizione ) http://www.treccani.it/vocabolario/articolo |
aspettoL’aspetto è una categoria del verbo che esprime la “temporalità interna” dell’evento descritto dal verbo. Consiste nello specificare quanta porzione di tempo viene coinvolta dall’evento, e come questo viene ‘visualizzato’. Confrontando le lingue del mondo, si è osservato che esistono due tipi fondamentali di aspetto: quello imperfettivo, e quello perfettivo. L’aspetto imperfettivo mostra l’evento focalizzando la sua articolazione interna, cioè esso viene immaginato concentrandosi sulla sua durata, sui suoi intervalli, sul suo ripetersi, sulla sua progressione. Invece, l’aspetto perfettivo mostra l’evento senza che queste caratteristiche vengano considerate: l’evento è immaginato come un blocco unico, completo, come fosse un punto privo di spazi al suo interno. Ad esempio, nella frase La pioggia cadeva senza sosta dalle sette di questa mattina il verbo cadere porta un’informazione di aspetto imperfettivo perché l’evento è visto nel suo svolgersi occupando una ‘fetta’ di tempo. Invece, in una frase come La pioggia è caduta senza preavviso alle sette del mattino la caduta della pioggia viene vista come un evento senza una dimensione interna, interessa solamente che esso è avvenuto, e parliamo quindi di aspetto perfettivo. http://www.treccani.it/enciclopedia/aspetto_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/ |
avverbioParte invariabile del discorso che può determinare sia il verbo che l’aggettivo o un altro avverbio. In italiano, come in altre lingue, a seconda della funzione che compiono, gli avverbi si distinguono in diverse categorie. Come gli aggettivi qualificativi, la maggior parte degli avverbi ha il grado comparativo e il superlativo, mentre solo pochi hanno forme alterate http://www.treccani.it/vocabolario/avverbio/ |
bilinguismoCapacità di un individuo, o un gruppo etnico, di usare alternativamente e senza difficoltà due diverse lingue o dialetti. https://it.wikipedia.org/wiki/Bilinguismo |
casoCategoria grammaticale tipica degli elementi nominali, che esprime la funzione logica svolta dall’elemento nella frase. In alcune lingue, il caso è segnalato morfologicamente attraverso l’applicazione di morfemi flessivi; in altre lingue, può essere segnalato con il supporto di altri elementi, quali le preposizioni, o attraverso l’ordine delle parole. (→ morfologia, → flessione) |
categoria lessicaleUna classe di parole che condividono alcune caratteristiche morfologiche, sintattiche e semantiche, per le quali si distinguono da altre classi di parole. Le categorie lessicali non sono ritenute universali, bensì possono variare da lingua a lingua. Nell’italiano si trovano: verbo, nome, pronome, articolo, aggettivo, avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione. (→ parola, → lingua, → verbo, → nome, → pronome, → articolo, → aggettivo, → avverbio, → preposizione, → congiunzione, → interiezione) |
circostanzialeElemento accessorio che viene incluso in una frase per aggiungere alcune informazioni, anche se la sua presenza non è richiesta dal verbo. |
codiceOgni sistema organico di simboli e di riferimenti che consente la trasmissione e la comprensione di un messaggio, cioè di una comunicazione, il cui senso può essere inteso soltanto se parlante e ascoltatore (o scrivente e lettore) adoperano lo stesso codice. |
collocazioneLa combinazione di due o più parole, che tendono a presentarsi insieme (contigue o a distanza) più spesso di quanto si potrebbe prevedere. Secondo la definizione di Jezek (2005: 178), «una combinazione di parole soggetta a una restrizione lessicale, per cui la scelta di una specifica parola (il collocato) per esprimere un determinato significato, è condizionata da una seconda parola (la base) alla quale questo significato è riferito». Le collocazioni sono un fenomeno lessicale che si trova a un livello intermedio tra le espressioni idiomatiche (o modi di dire), di cui di solito non condividono la rigidità sintagmatica, e le combinazioni libere, rispetto alle quali presentano maggiori restrizioni. http://www.treccani.it/enciclopedia/collocazioni_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/ |
composizioneProcedimento morfologico che permette di formare parole nuove combinando parole già esistenti. I composti si distinguono in base alla categoria lessicale a cui appartengono i loro membri; differiscono inoltre a seconda che contengano o meno al loro interno un elemento che ne costituisce la testa (rispettivamente, composti endocentrici ed esocentrici). ( → morfologia, → parola, → testa) |
congiunzioneParte invariabile del discorso, che serve a collegare fra loro due elementi simili di una proposizione, o due membri di un periodo. Rispetto alla funzione, si possono avere congiunzioni
coordinative, che congiungono due elementi simili di una proposizione, o due
proposizioni della stessa specie; di questa categoria fanno parte le
congiunzioni copulative, aggiuntive, disgiuntive, avversative, dichiarative,
conclusive; esistono poi le congiunzioni subordinative, che creano un rapporto
di dipendenza fra due proposizioni, e comprendono le causali, finali,
temporali, concessive, consecutive, ecc., distinte in base al tipo di rapporto
che creano. http://www.treccani.it/vocabolario/congiunzione |
coordinazioneCollocazione su uno stesso piano di più elementi nella proposizione o di più proposizioni nel periodo. Nella coordinazione, i rapporti tra gli elementi possono essere di uguaglianza oppure opposizione, e sono espressi mediante le congiunzioni coordinative, che nel primo caso possono anche mancare (coordinazione per asindeto). http://www.treccani.it/enciclopedia/coordinazione |
coppia minimaCoppia di parole di una stessa lingua, in cui la differenza di un solo suono produce significati diversi. I due suoni diversi prendono in tal caso il nome di fonemi di quella lingua. Ex: palla – balla; caro – capo; topo – tipo. |
costituenteLa frase si organizza intorno a blocchi di sintagmi, unità intermedie tra il sintagma e la frase, che chiamiamo costituenti. Nell’analisi linguistica, la frase non è una semplice successione di termini connessi l’uno all’altro, ma è formata da una combinazione di sintagmi, a loro volta costituiti da unità più piccole, e così via sino a giungere agli elementi minimi indivisibili. |
deissiIl ricorso, da parte del parlante, a particolari elementi linguistici, come i pronomi personali, gli aggettivi dimostrativi (questo, quello, ecc.), gli avverbî di luogo e di tempo (qui, adesso, ecc.), detti elementi o fattori deittici, necessarî per precisare chi sia il soggetto parlante e chi il suo interlocutore, e per situare l’enunciato nello spazio e nel tempo. ( → pronome, → aggettivo, → avverbio ) http://www.treccani.it/vocabolario/deissi |
derivazione zeroProcesso mediante il quale da una parola preesistente si crea una parola appartenente a una categoria lessicale diversa. |
desinenza |
diacronicoIndica lo studio e la valutazione dei fatti linguistici considerati secondo il loro divenire nel tempo, secondo una prospettiva dinamica ed evolutiva. Linguistica diacronica (sinonimo di linguistica storica) è quella che considera le strutture e gli elementi linguistici nel loro succedersi e trasformarsi nel corso del tempo, in contrapposizione alla linguistica sincronica che studia una lingua nell’aspetto con cui essa si presenta in un determinato momento, attuale o passato, della sua storia. http://www.treccani.it/enciclopedia/diacronia/ |
dialettoSistema linguistico relativo a un ambito geografico o culturale per lo più limitato, che non ha raggiunto o che ha perduto autonomia e prestigio di fronte agli altri sistemi con i quali costituisce geneticamente un gruppo. Si tratta di una varietà locale di una lingua, dalla quale, dal punto di vista sociolinguistico, differisce per prestigio sociale, gamma di usi, grado di codificazione ecc. e vi è subordinato all’interno del repertorio. http://www.treccani.it/enciclopedia/dialetto |
diatesiCategoria della flessione verbale che esprime la relazione tra il verbo stesso ed il soggetto agente. Si distingue principalmente tra diatesi attiva e passiva. La forma attiva si ha quando il soggetto svolge l’azione espressa dal verbo. Si può avere con verbi sia transitivi, sia intransitivi. La forma passiva si ha quando il soggetto subisce l’azione espressa dal verbo. Si può avere solo con verbi transitivi. ( → flessione, → verbo, → soggetto ) http://www.treccani.it/enciclopedia/diatesi/ http://www.treccani.it/enciclopedia/forma-attiva-passiva-e-riflessiva_(La-grammatica-italiana)/ |
diglossiaSpecifica forma di bilinguismo in cui un individuo parla due
lingue che hanno un rapporto gerarchico e complementare. Solitamente, una
lingua viene utilizzata in ambito formale e l’altra in contesti informali. |
distintivitàSi dice distintività la capacità di un elemento del sistema linguistico di svolgere una funzione significativa nel sistema stesso, esprimendo in esso un valore, una differenza rilevante. Dunque, è distintivo ogni tratto che identifica un elemento, tale che, variando quell’unico tratto, cambia l’identità dell’elemento e se ne ottiene uno diverso, comunque esistente. Es. Nella parola bella, la aè distintiva poiché contiene i tratti genere e numero, femminile e singolare. Si nota una differenza tra bella, bello, belli, belle, grazie alla capacità della desinenza di esprimere tratti distintivi. http://www.treccani.it/vocabolario/distintivo/ |
dittongoIl dittongo è un gruppo costituito da due vocali che si seguono nella medesima sillaba. In italiano, una delle due è vocale sillabica, l’altra (sempre i oppure u) può essere un’altra vocale o una semiconsonante. Il dittongo si dice ascendente se la vocale sillabica è la seconda; discendente se la vocale sillabica è la prima. Si dicono dittongazioni le trasformazioni di vocali semplici in dittonghi: lt. bŏnum > it. Buono. ( → sillaba ) http://www.treccani.it/enciclopedia/dittongo/ |
famiglia linguisticaLe lingue parlate nel mondo si possono raggruppare in base ai loro antenati comuni. Grazie al metodo comparativo, basato sull’individuazione di analogie e differenze, è possibile risalire all’albero genealogico di una lingua. Un altro metodo di classificazione è quello geografico, che classifica le lingue di una determinata zona. Dunque, una famiglia linguistica è un gruppo che contiene lingue differenti, ma discendenti da una protolingua unica. Ex. Lingue indoeuropee → Italiche → Romanze → Italo-occidentali → Romanze occidentali → Italo-dalmate → Italo-romanze → Italiano. |
flessioneProcedimento morfologico che permette di creare le varie forme in cui una parola può presentarsi nel discorso. La flessione agisce solo sulle parole cosiddette variabili, che nella lingua italiana sono sostantivi, verbi, aggettivi, articoli, pronomi. Si attua aggiungendo alla radice della parola un elemento variabile, detto morfema flessivo o desinenza, che porta un’informazione grammaticale. Negli elementi nominali, le informazioni espresse dalla flessione riguardano genere, numero e caso; negli elementi verbali, indicano persona, tempo, modo e aspetto. La flessione non cambia la categoria della parola. (→
morfologia, → parola, → radice, → desinenza, → genere, → numero, → caso, →
aspetto ) |
focus/temaElemento di un enunciato o di una serie di enunciati portatore dell’informazione già nota e alla quale se ne aggiungono altre nuove. |
fonemaUnità fonologica minima di un sistema linguistico, ossia un segmento fonico-acustico non suscettibile di ulteriore segmentazione, dotato di capacità distintiva e oppositiva rispetto alle altre unità. |
foneticaDescrizione fisico-naturalistica della fonazione umana e dei suoi prodotti: f. articolatoria, che studia i processi neuromuscolari della fonazione; f. acustica, che studia dal punto di vista acustico i prodotti della fonazione; f. uditiva, che studia i processi della percezione auricolare dei fonemi. |
fonologiaTeoria che ha per oggetto la descrizione dei fonemi nella funzione che hanno in una lingua o in una famiglia di lingue. Ne studia i «tratti pertinenti», quei tratti cioè che, in quella lingua o famiglia di lingue, hanno funzione distintiva. |
fraseEspressione linguistica con un significato, contenente una predicazione e "tutti gli elementi necessari per la sua completezza". Insieme di parole che si combinano tra loro secondo precise regole grammaticali ed è la massima sequenza di un testo in cui vigono relazioni sintattiche e in cui le parole seguono un certo ordine. |
genereCategoria grammaticale tipica degli elementi nominali e in alcune lingue anche dei verbi. In italiano assume i valori maschile/ femminile, cui in altre lingue si aggiunge il neutro. |
grado (dell'aggettivo)La misura in cui la qualità espressa dall’aggettivo è posseduta da una persona o cosa, sia in sé, sia rispetto ad altri termini di paragone, e le modificazioni morfologiche che l’aggettivo subisce per indicare tale rapporto. È detto anche grado di comparazione, può essere positivo, comparativo (di maggioranza, di minoranza o di uguaglianza) e superlativo (relativo o assoluto). |
iatoFenomeno che consiste nel dividere tra due sillabe due vocali che altrimenti farebbero parte della stessa sillaba, vocali quindi che vengono accostate e pronunciate con due emissioni di voce.
|
infissoElemento inserito all'interno della radice stessa. |
interiezioneParte invariabile del discorso con valore esclamativo che si
può esprimere mediante parole o espressioni linguistiche indicanti meraviglia,
gioia, dolore ecc. Non è sintatticamente legata alla proposizione cui
appartiene ed è quasi sempre accompagnata da punto esclamativo. http://www.treccani.it/enciclopedia/interiezione |
IPAInternational Phonetic Alphabeth, in italiano Alfabeto Fonetico Internazionale. Insieme di simboli impiegati per la rappresentazione grafica dei suoni di una lingua. Associa in modo univoco un solo segno grafico a ogni fono. Prescinde dai sistemi ortografici in uso nelle lingue, infatti è l’unica forma di scrittura che non crei ambiguità. |
L1-L2Lingua 1, ovvero la lingua madre di un parlante, non imparata, ma acquisita. Lingua 2, lingua imparata in un secondo momento rispetto alla lingua materna dell'apprendente, a sua volta indicata come L1. |
lessemaTermine tecnico per designare l’unità lessicale, cioè la minima unità significativa di un lessico (e non di una grammatica, per cui si distingue dal morfema). |
lessicoIl complesso dei vocaboli e delle locuzioni che costituiscono una lingua, o una parte specifica di essa. http://www.treccani.it/enciclopedia/lessico |
lessicografiaScienza della raccolta e della definizione (formale, funzionale e soprattutto semantica) dei vocaboli appartenenti al lessico di una lingua o di un dialetto o di un gruppo di lingue o dialetti. Anche l’attività che ha per oggetto la redazione di dizionari di vario tipo. |
lessicologiaStudio scientifico del sistema lessicale di una lingua, considerato nella sua struttura e nel suo costituirsi attraverso la storia. |
linguaRepertorio complessivo dei segni verbali (parole e locuzioni) e delle regole per il loro uso attraverso cui i membri di una comunità comunicano tra loro. Una lingua costituisce un organismo storicamente determinato, sottoposto a proprie leggi fonetiche, morfologiche e sintattiche che sono anch’esse parte integrante della lingua. Il concetto di lingua si distingue da quello di linguaggio. Esso denota una facoltà innata che consente agli esseri umani di comunicare, ma non la sua manifestazione e realizzazione concreta. http://www.treccani.it/enciclopedia/lingua |
modoCategoria della flessione verbale che indica la modalità, cioè l’atteggiamento assunto dal parlante nei confronti di ciò che dice e del suo interlocutore. La modalità esprime valori come obbligo, necessità, possibilità, presa di distanza rispetto al contenuto dell’enunciato. Esistono due categorie di modi: finiti e indefiniti, a seconda delle modificazioni morfologiche che ammettono. I primi si flettono in relazione alla persona, al tempo e al numero; i secondi sono privi della persona e del numero. ( → flessione, → verbo, → persona, → tempo ) |
morfemaPiù piccolo elemento di una parola (o di un enunciato) dotato di significato, non suscettibile di ulteriori scomposizioni |
morfologiaSettore della linguistica che studia la struttura interna
delle parole e le relazioni fra i cambiamenti di forma e i cambiamenti di senso
delle parole. |
nomeDetto anche sostantivo; è una parte del discorso che indica una singola entità, o una classe di entità (persone, animati, cose, idee, etc..). Secondo la grammatica, si distinguono i nomi nelle due grandi classi dei nomi propri, che si riferiscono a singola persona, a singolo animale, a singola cosa, e dei nomi comuni, che si riferiscono a intere categorie di persone, animali, o cose. I nomi comuni si dividono a loro volta in concreti e astratti, che si riferiscono rispettivamente ad un oggetto concreto o ad un concetto astratto, e in animati vs. inanimati. http://www.treccani.it/enciclopedia/nome/ |
numeroCategoria grammaticale che prevede in gran parte delle lingue l’opposizione singolare/ plurale. Un sostantivo è detto numerabile se ammette la distinzione di numero, non numerabile se non la ammette (come nel caso di molti sostantivi astratti e dei sostantivi massa). (→ sostantivo) |
omonimiaFenomeno per cui due parole, di etimo e significato diverso, hanno uguale il suono o, per lo meno, la grafia. |
paradigmaticoRapporto paradigmatico, o in assenza, si ha tra gli elementi della frase e gli elementi che nella frase potrebbero alternarsi con essi. Ex. Nella frase Il papà cucina una frittata, al posto di il papà si potrebbe avere la mamma, al posto di cucina ci potrebbe essere prepara. |
parolaNell’uso comune, s’intende
per parola l’unità minima isolabile all’interno della frase e del discorso,
dotata di un significato e di una funzione autonomi, e formata da uno o più
fonemi. Essa presenta un senso fondamentale, vive nella coscienza linguistica
dei parlanti sia in isolamento, sia in un determinato contesto. In senso più
tecnico, una parola ‘ben formata’ è il risultato di una o più operazioni
morfologiche ammesse dalle possibilità di una lingua. |
personaCategoria della flessione verbale, che determina se il verbo in questione si riferisce a chi parla (prima persona singolare), a colui che ascolta (seconda persona singolare), oppure a una persona (o cosa) diversa da questi due (terza persona singolare). Qualora si tratti di un gruppo di due o più persone (o cose), stabilisce se in queste è inclusa la prima persona (prima persona plurale), se gli ascoltatori sono più persone (o cose) fra cui è incluso l’uditore (seconda persona plurale), o infine se né chi parla né chi ascolta fanno parte del gruppo (terza persona plurale). Nel verbo le persone sono indicate dalle desinenze, che a volte possono distinguere anche il genere maschile o femminile o neutro. ( → flessione, → verbo, → genere ) http://www.treccani.it/enciclopedia/persona
http://www.treccani.it/enciclopedia/modi-del-verbo_%28La-grammatica-italiana%29/ |
polisemiaCoesistenza, in uno stesso segno (parola o, anche, sintagma, espressione fraseologica), di significati diversi. |
prefissoElemento affisso all'inizio di un lessema per modificarne o precisarne il significato. Il processo morfologico che lo riguarda si chiama prefissazione. |
preposizioneParte invariabile del discorso, costituita da un elemento che, premesso ad un nome, ad un pronome o ad una espressione nominale, serve a precisarne la funzione sintattica o la collocazione nello spazio. ( → nome, → pronome, → articolo ) http://www.treccani.it/vocabolario/preposizione/ |
produttivitàRappresenta la possibilità per un procedimento, per lo più morfologico o sintattico, all'interno di una lingua di essere impiegato per la costituzione di nuove formazioni (nuove parole, nuove frasi) della lingua in questione. In un sistema di comunicazione produttivo si possono produrre e interpretare messaggi nuovi illimitatamente diversi. |
pronomeParte variabile del discorso che assolve la funzione rimandare a elementi della frase (nomi, interi sintagmi, parti di essi) precisandone proprietà grammaticali di vario tipo (genere, numero, caso, quantità, etc.). Il pronome ha quindi funzione anaforica e cataforica, cioè
di richiamare o anticipare una nozione già espressa o che verrà espressa dopo,
ma anche quella di gesto linguistico, di designare nozioni, persone o cose, non
espressamente indicate. http://www.treccani.it/enciclopedia/pronome/ |
proposizioneEspressione di senso compiuto, per lo più costituita di almeno due elementi, soggetto e predicato. |
radice |
reggenzaInfluenza esercitata da un elemento grammaticale su un altro. L'elemento controllore attiva negli elementi controllati, con i quali è in una relazione sintagmatica specifica, alcuni morfemi. L'esempio classico di reggenza è la reggenza del caso, in base alla quale un verbo o una preposizione determinano il caso in cui deve essere declinato il sostantivo a cui si riferiscono. Es. Il verbo andare necessita obbligatoriamente della
preposizione a, quindi regge il caso dativo. |
ricorsivitàFenomeno per cui una regola linguistica può essere applicata al risultato di una sua stessa precedente applicazione. Es. Paolo sta mangiando una pera. → Paolo, che è appena arrivato a casa, sta mangiando una pera. → Paolo, che è appena arrivato a casa, sta mangiando una pera, che è il suo frutto preferito. |
ruolo tematico/semanticoDescrive la relazione che un argomento intrattiene con il verbo cui fa riferimento, in uno specifico contesto predicativo. I ruoli semantici sono: agente, paziente/tema, esperiente, source, beneficiario, possessore, locativo, strumentale.
|
segnoIn linguistica, l’elemento significativo che
costituisce la cellula minima dell’espressione linguistica; ossia, secondo de
Saussure l’entità psichica costituita dall’associazione di un concetto e di
un’immagine acustica, cioè del significato e del significante, associazione da
lui dichiarata assolutamente arbitraria. |
semanticaParte della linguistica che studia il significato delle parole (semantica lessicale), degli insiemi delle singole lettere (negli e degli alfabeti antichi) e delle frasi (semantica frasale) e dei testi. |
semiconsonante/semivocale/approssimanteSemivocale che precede una vocale e costituisce con questa un dittongo ascendente. In italiano sono I e U. |
significanteIndica il piano
dell'espressione all'interno di un segno. Il significante è la forma, che rinvia a un contenuto. |
significatoIndica il piano del contenuto all’interno di un segno. È il contenuto a cui il significante rinvia. Nozione o immagine mentale generica che possediamo di un oggetto, la quale media tra la parola e la cosa. |
sillabaLa sillaba è l’unità fonica minima (autonoma e distinta sotto l’aspetto dell’articolazione) in cui si possono considerare divise le parole. La sillaba è costituita da un picco di intensità, un punto vocalico o centro o apice, formato da una vocale o da un dittongo o anche da una consonante con valore vocalico, cui possono essere associate una o più consonanti, precedenti (che vanno a costituire l’onset) e seguenti (definite coda). Il limite fonetico tra una sillaba e l’altra è generalmente costituito dalla chiusura parziale o totale del canale di fonazione, o anche dal succedersi di un nuovo punto vocalico a un altro. ( → dittongo ) Le sillabe che terminano in vocale si dicono aperte; quelle che terminano in consonante si definiscono chiuse. Avviene spesso che le vocali delle sillabe aperte siano lunghe, quelle delle sillabe chiuse siano brevi. http://www.treccani.it/enciclopedia/sillaba/ |
sincronicoTipo di rapporto che corre tra gli elementi costitutivi di una lingua quando si prescinde dal fattore tempo, si oppone al rapporto diacronico. Il modo di essere degli elementi considerati in sincronia è un diversificarsi reciproco e complesso secondo un gioco preciso di coordinate che formano un sistema. Nella definizione di de Saussure, linguistica sincronica (opposta a linguistica diacronica) è dunque quella che studia gli elementi costitutivi e i principi fondamentali del sistema di una lingua in un determinato momento. http://www.treccani.it/enciclopedia/sincronia/ |
sinonimiaIdentità sostanziale di significato tra due o più parole o espressioni, che non sempre però è totale, sia per sfumature semantiche, sia per sfumature stilistiche, sia per diversità d’uso. |
sintagmaUnità sintattica di varia complessità e autonomia, di livello intermedio tra la parola e la frase (es., a casa, di corsa). Con riferimento alla categoria grammaticale, si distinguono s. nominali, verbali, aggettivali, preposizionali. |
sintagmaticoRapporto che intercorre tra gli elementi che si succedono nella frase, in presenza. Ex. Il papà cucina una frittata. Il rapporto tra papà e cucinaè di tipo paradigmatico, poiché i due elementi si trovano nella frase allo stesso tempo. |
soggettoIl soggetto indica una funzione grammaticale fondamentale
nella frase. L’elemento linguistico concreto che ricopre tale funzione ha
proprietà diverse nelle varie lingue e può essere individuato da marche
morfologiche o sintattiche: il caso nominativo, l’accordo col verbo, la
posizione nella frase. Attenzione: la descrizione del soggetto come “colui che compie l’azione” è semplicistica e non sempre valida, pertanto può essere fuorviante! ( → frase, → caso, → verbo ) http://www.treccani.it/enciclopedia/soggetto_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ |
sonoritàCaratteristica dei suoni la cui articolazione è accompagnata dalla vibrazione delle corde vocali (suoni sonori), in contrapposto ai suoni sordi, articolati senza che le corde vocali entrino in vibrazione. |
subordinazioneLa relazione che si stabilisce tra due proposizioni collocate nel periodo su piani diversi, in modo che l’una (subordinata) risulti dipendente logicamente e grammaticalmente dall’altra, che viene detta perciò principale, o reggente. Il rapporto di dipendenza si può istituire con procedimenti sintattici differenti: la subordinata può essere introdotta da congiunzioni subordinative, oppure da pronomi o avverbi relativi; inoltre i modi e i tempi del verbo della dipendente sono regolati in funzione di quelli della reggente, secondo leggi diverse nelle diverse lingue. http://www.treccani.it/enciclopedia/subordinazione |
suffissoElemento affisso alla fine di un tema o di una radice per
formare una parola. Esso può anche aggiungersi a una parola già compiuta,
formando, per derivazione, una parola suffissata. |
suppletivismoFenomeno morfologico per il quale in uno stesso paradigma flessivo entrano a far parte due (o più) morfemi lessicali diversi. Il risultato è un paradigma che contiene morfemi lessicali differenti dal punto di vista formale ma dal significato perfettamente compatibile: io vado → noi andiamo. |
tempoCategoria della flessione verbale che indica il momento (presente, passato o futuro) in cui si colloca l’azione indicata da un verbo. Questa nozione, che assieme a quella di aspetto verbale contribuisce a determinare la nozione più ampia di processo espressa da un verbo, assume rilievo grammaticale nella maggior parte delle lingue, e viene espressa mediante un sistema di forme che costituiscono i tempi verbali. Gli eventi sono collocati nella dimensione tempo in due modi: uno consiste nell’indicare se essi sono contemporanei, posteriori o anteriori a dei punti di riferimento, come per esempio il momento in cui avviene l’enunciato: si tratta del Tempo vero e proprio, che è un’operazionedeittica simile a quella che svolgiamo quando usiamo i dimostrativi come questo/quello etc. L’altro è appunto l’aspetto. ( → flessione, → verbo, → aspetto) http://www.treccani.it/enciclopedia/tempo |
testa del sintagmaLa parola fondamentale di un sintagma, senza la quale questo non sussisterebbe. In base alla categoria grammaticale della testa, si definisce il tipo di sintagma. |
topic/remaParte di un enunciato o di una serie di enunciati che aggiunge informazioni a ciò che è dato come già note. |
tratto semanticoUnità minima di senso in cui un lessema è scomponibile, detta anche sema o componente semantico. |
trittongoTre suoni vocalici in una sola sillaba, per cui naturalmente due di essi diventano semivocali: per es. in miei. |
valenzaNumero di elementi necessari a completare il significato del verbo. Questi elementi indispensabili (in genere, il soggetto, l'oggetto diretto e indiretto) sono detti "argomenti". Numero di argomenti che. insieme al verbo, formano la frase nucleare. |
varianti combinatorieDiverse realizzazioni che il fonema stesso assume in contesti fonetici differenti. Le varianti combinatorie sono quindi in distribuzione complementare. ( → allofonia ) |
varianti libereFoni che possono scambiarsi tra loro all'interno di una stessa parola senza cambiarne il significato e senza che i parlanti madrelingua lo rilevino come un "errore". Ex: “Rosa” può essere pronunciato con la cosiddetta “r moscia”, ma il significato rimane lo stesso. |
verboParte del discorso che indica azione, stato, o divenire, in contrapposizione al nome, che indica sostanza o qualità. Il verbo varia secondo la flessione verbale, cioè la coniugazione, l’insieme delle forme di un tema che denomina un’azione (tema o radice verbale), determinate sul piano grammaticale da desinenze specifiche (desinenze verbali). |
verbo intransitivoSi definisce così il verbo che esprime uno stato, un modo di essere, oppure un evento che non prevede complemento oggetto e che pertanto non può avere la forma passiva se non in espressioni impersonali. Esistono verbi che, a seconda del loro significato, possono essere transitivi o intransitivi; altri che hanno significato intransitivo ma possono avere uso transitivo; un uso particolare di quest’ultimo caso è quello in cui il verbo intransitivo è seguito da complemento dell’oggetto interno (es. vivere una vita tranquilla). ( → verbo, → soggetto, → diatesi ) http://www.treccani.it/vocabolario/intransitivo/ |
verbo transitivoSi definisce in questo modo un verbo che prevede l’inserimento di un oggetto diretto: in altre parole, il processo descritto dal verbo «transita», cioè si estende dal soggetto all’oggetto in modo diretto, senza l’impiego di preposizioni o l’applicazione di casi obliqui. ( → verbo, → soggetto, → caso ) http://www.treccani.it/vocabolario/transitivo/ |
vocale tematicaVocale che si trova tra la radice e la desinenza di un verbo e ne caratterizza la coniugazione. In italiano, le vocali tematiche sono a, e, i. |